Giancarlo Pagliero è un narratore dei luoghi della memoria, capace traduttore di ricordi, dote rara, che riporta alla luce periodi storici nell’oggi, nell’immediato, come fossero accaduti adesso, tanto è fedele il riflesso dell’esposizione, del racconto pulito, nudo, per come è stato e come è ancora. Questo Autore offre tutti i momenti vissuti riproducendoli esattamente come fotografie che dalla carta non possono modificarsi né sfuggire allo sguardo; sopra una pellicola protettiva per non farli sbiadire e così, nella sua memoria, tutto rimane e si solidifica, si rafforza e continua a vivere. Si comprende da subito che la storia si snoda in India, terra meravigliosa dalla cultura sofisticata e ricca di dettagli, di minuzie importantissime, di paesaggi splendidi e sì, lontana anni luce dall’Occidente. Accade nell’arco di alcuni anni, quando il protagonista decide di mettersi in stand by dal suo lavoro, guardandosi un pochino più dentro, conoscendo figure determinanti per la sua crescita personale. Ecco il giovane uomo forse un poco stanco di non ritrovarsi, di non conoscere bene la propria identità, qui finalmente capisce cosa sta inseguendo rendendo conto a se stesso, com’è giusto che sia per ogni essere umano. L’arco del tempo lo riporta alla complessità di quella terra lontana dove ha vissuto e compreso meglio l’esistenza, con le sue contraddizioni, laddove solo se si vive con poco e tutto ruota attorno al nucleo familiare (o comunque affettivo), è possibile conoscere il valore del tempo che ci è concesso di vivere, delle meraviglie terrene di cui gioire grazie appunto all’animo ben rifocillato d’emozioni e di sentimenti. Sergio, il protagonista, incontra il sacrificio, la povertà, seppur non direttamente, ma vede e percepisce il disagio di quei popoli devastati da guerre e sopraffazioni, lotte per il potere, la miseria che costringe a volte le persone a trasformarsi in esseri abominevoli, subdoli, capaci di tutto. Alla fine, anche la saggezza diventa precaria quando c’è fame, quando tutto sembra remare contro e rimane il barlume dell’istinto di sopravvivenza, ecco come, probabilmente i popoli, nei secoli, sono andati avanti. Tutto questo Sergio lo scopre pungolato da Miss Hess, durante un soggiorno piuttosto lungo all’albergo Ganesh, dove decide di rimanere in pausa di riflessione lavorativa. Il suo relax diviene un percorso meraviglioso e doloroso al tempo stesso, ma necessario e foriero di illuminazioni. I filosofi e gli intellettuali hanno detto molto sul viaggio, ma raccontarlo e viverlo non è la stessa cosa, e solo chi l’ha provato sulla pelle dovrebbe esprimersi in merito. Ma quello che incontra in realtà è l’amore: il vero protagonista della storia. Ed è Miss Hess che ben coglie il desiderio/bisogno di amore di Sergio, in modo più profondo di quanto lui ne sia consapevole. Miss Hess è una figura carismatica che muove la storia del romanzo: lei ascolta, racconta, consiglia, consola, quasi prevede il futuro e rimane accanto a Sergio, fino in fondo. Lo spinge, quasi lo costringe, verso luoghi sconosciuti e pericolosi, dove però troverà persone in grado di accoglierlo con l’affetto e l’accettazione che mai era riuscito ad afferrare. Lì troverà anche l’amore in tutta la sua passione, contraddizione e incomprensibile tragicità.
La narrazione del romanzo è pregnante e rarefatta a tratti, ma senza mai spersonalizzarsi, e in effetti la presenza del protagonista rimane costante e piena, dapprima con le titubanze, quei misteri di sé e il mettersi in discussione che destabilizzano; poi con la presa di coscienza dell’essere se stessi e pretendere accettazione e rispetto dal mondo. In tutto questo mille vicissitudini descritte come nitidissime fotografie, con una penna semplice ma capace, lineare e vivace, decisa, precisa, anche crudele ma molto vera, fanno da contorno alla storia di questo giovane che non intraprende solo un viaggio in altre, ma lo compie soprattutto dentro di sé.

Pagliero ci racconta un’India sconosciuta, o comunque piuttosto lontana da noi e dalla nostra immaginazione. Lui non ha semplicemente fatto una vacanza, bensì ha messo a soqquadro la propria esistenza, radicando parte di sé in quei luoghi inizialmente incomprensibili e ostili, tanto diversi dal mondo europeo, ma così meravigliosi nella loro tremenda e tangibile povertà. Il coraggio fuoriesce da situazioni come questa, credo, ponendo l’uomo in quella condizione in cui non ha più nulla da perdere perché già tutto è andato perduto; allora ecco che da quel fondo nero si ha il dovere di risalire, di provare a incantarsi ancora, a sognare, a rivalutare tutto quello che ha dato origine, forgiato, plasmato ciò che siamo. Il romanzo scorre fin dalle prime pagine tra luoghi e persone che si muovono attraverso momenti dove si mescolano poesia e immagini: fotogrammi di un film dove il lettore rimane sospeso in emozioni che oscillano tra profondità di pensiero e nitidezza di visione.

Questo libro racchiude la speranza, e ve ne è bisogno, d’essere ancora carezzati dall’umanità di cui siamo dotati, dall’altruismo, dall’interazione con il tatto, il respiro, la voce e lo sguardo verso gli altri. Basta con il mondo tecnologico, con le troppe comodità, con le convenzioni, il tutto pronto. C’è ancora chi sa amare per tutta la vita, chi ci regala l’amicizia e lo fa davvero, chi ci consola senza sbuffare e senza avere fretta. C’è chi ci ama per quel che siamo dentro e va oltre l’aspetto, il sesso, il genere, la posizione sociale. Colui che riesce a vivere di tramonti rosati su fiumi sconosciuti, tra panorami incontaminati e sentimenti autentici, può dirsi fortunato e ricco. Costui potrà attraversare la Terra a piedi nudi senza mai stancarsi per abbracciare il suo sogno, l’altra parte di sé, il senso della propria vita.

Silvia Denti da editor Divina follia